(Nota: Festina lente è un motto attribuito all'Imperatore Augusto dallo scrittore latino Svetonio, e significa “affrettati lentamente”. Nel testo Vita di Augusto, Svetonio scrive che Augusto fa riferimento al motto greco σπευδε βραδεως, del quale “festina lente” è la traduzione latina. Più recentemente, nel XVI° secolo, Cosimo I de' Medici si riferì allo stesso motto quando confezionò il simbolo della tartaruga con la vela per farne l'emblema della sua flotta. Nota per la sua lentezza, la tartaruga viene anche intesa come esempio di prudenza; ma se sormontata da una vela gonfiata da quello stesso vento che spinge con forza le navi, diventa allora monito di prudenza e ponderazione affinché le imprese siano coronate da successo. Il simbolo della tartaruga con la vela, abbinata al motto festina lente, è ancora oggi visibile in molte raffigurazioni su soffitti e pavimenti di Palazzo Vecchio a Firenze.)
Mio
padre camminava sempre veloce, tanto che – soprattutto
quando ero bambino – era difficile stargli al passo. Veloce
nell'azione così come nel pensiero, non era però un uomo
frettoloso. Anzi: spesso criticava quella smània dei tempi moderni
che spinge adulti e bambini a mangiare
in fretta, a giocare in fretta, a studiare in fretta, a guadagnare in
fretta, a vivere in fretta, per poi morire di colpo.
Perché – diceva – in questa frenesia dell'accelerazione non ci
si accorge che quei gesti fulminei dei ninja-karateka, quelle veloci
pennellate del maestro calligrafo, sono il risultato di un lento e
lungo lavoro fatto di accurate osservazioni, di finissime misure, di
aggiustamenti minuziosi. La maestria e la padronanza del gesto che
fanno l'eccellenza del buon artigiano e del vero artista, si
conquistano muovendosi con estrema cura e lentezza.
Infatti
quando, con la sua rapida camminata, mio padre raggiungeva il suo
studio per esplorare materiali e forme nuove, ecco che il suo
muoversi veloce si tramutava in un'attenta lentezza. Ricordo che da
bambino passavo ore ed ore ad osservare affascinato la lenta
accuratezza dei suoi movimenti e la precisione millimetrica dei suoi
gesti. Il suo studio era una specie di oasi temporale dove tutto
invitava a rallentare la corsa, a soffermarsi con calma sui minimi
dettagli, a prendersi il tempo necessario per esplorare con cura
tutte le caratteristiche e le proprietà di un materiale, di un
gesto, di uno strumento.
Imparai così che la maestria e la padronanza che fanno l'eccellenza
dell'artista si conquistano muovendosi con accurata lentezza, per
poter cogliere anche il più minimo dettaglio che rende il gesto
intelligente.
Prima
di affrettarsi a disegnare, dipingere o progettare, mio padre si dava
sempre il tempo di studiare bene i materiali sui quali operava:
superfici, textures, spessori, elasticità... Le sue mani dialogavano
con le diverse resistenze che i materiali esprimevano, senza imporre
con la forza la propria volontà ma rispettandone sempre le
caratteristiche. Allo stesso modo studiava bene gli strumenti che
intendeva usare: come si adattano alla mano e come la mano vi si
adatta, le diverse tracce che lasciano, la loro flessibilità, e così
via. Il risultato concreto di questa ricerca negoziale appariva poi
quasi da solo, e tanto più velocemente e precisamente quanto più
lente e accurate erano state le esplorazioni che lo avevano
preceduto. Prima di correre al risultato finale – diceva mio padre
– bisogna sapersi soffermare con molta calma e attenzione sul
percorso,
per cercare di coglierne tutte le tappe, le esitazioni, le attese, le
erranze, le alternative, le sorprese... Al risultato si arriverà
poi naturalmente, e la sua immediata giustezza ci apparirà come un
fatto inevitabile.
Chi
lavora con i bambini è a volte sorpreso nel vedere come spesso essi
si disinteressino delle loro stesse produzioni, disegni o manufatti,
una volta realizzati. Il fatto è che il bambino disegna o fabbrica
per
capire,
non per produrre un oggetto preciso. Il bambino gioca per capire e
sperimentare questo strano mondo in cui è capitato: è quindi
l'azione dello sperimentare che gli interessa, è il percorso
della ricerca che lo affascina, non tanto il prodotto materiale che
può venirne fuori. Ciò
che l'adulto chiama “gioco” è invece per il bambino una cosa
molto seria: perché per lui il gioco è fondamentalmente un'attività
cognitiva, non un passatempo ludico.
Il
percorso della ricerca – sia essa scientifica, tecnologica o
artistica – ha i suoi tempi lenti, necessari per esplorare,
provare, ricominciare, soffermarsi a riflettere, teorizzare,
verificare. Volerli accelerare porta inevitabilmente a togliere
senso e interesse alla ricerca; spingere a tutti i costi verso un
rapido raggiungimento del risultato finale non può che distruggere
le potenzialità educative del percorso che ci permette di
raggiungerlo. Perché è soprattutto il percorso che è
educativo, più che il risultato! Questo dovrebbe essere il
principio di fondo di ogni azione educativa: dare tutto il tempo
necessario per la sperimentazione accurata e la libera riflessione, e
ritardare il più possibile il momento della conclusione. Perché la
risposta chiude e cancella l'universo di possibilità che la domanda
aveva aperto.
Anche
mio padre era molto più interessato alle domande che non alle
risposte. E ad una domanda in particolare: come si potrebbe fare
diversamente? Questa domanda, che usava ripetere spesso, a sé
stesso prima ancora che agli altri, e che è stata il motore di tutte
le sue ricerche, sia di design che artistiche, diventò presto anche
per me uno stimolo costante, una guida che ha accompagnato tutta la
mia crescita intellettuale, da bambinetto a scolaro, poi da studente
a professore universitario. Nella sua apparente semplicità infatti,
quella domanda riassume molto bene ed al tempo stesso rende operativo
in modo facilmente comprensibile uno dei principi più fondamentali
della ricerca scientifica: l'esplorazione sistematica di tutte le
possibili variazioni di un'azione.
Non
possiamo certo sostituirci al bambino nel suo processo di costruzione
mentale: questo infatti non può essere che un'esperienza intima e
personale; possiamo però creare ed allestire dei contesti
particolari, degli scenari studiati appositamente per
favorire l'emergenza delle necessarie coerenza e sinergia tra
più processi di interazioni, situati a più livelli di
organizzazione, che sono all'opera nello sviluppo cognitivo,
affettivo e sociale di ogni individuo.
È
proprio questo che Bruno Munari intese realizzare con le sue opere
rivolte ai bambini: allestire degli spazi e degli scenari dove sia
possibile esplorare in modo
intenzionale e consapevole – e non distratto e casuale –
le diverse interazioni tra l'azione del gesto e le resistenze della
materia, offrendo la più ricca varietà possibile di esperienze
visive e tattili; dove sia possibile far interagire diverse strategie
di esplorazione, tramite il confronto attento e dialogato tra le
proprie azioni e quelle degli altri soggetti che stanno condividendo
le stesse esperienze; dove ogni forma di giudizio preconcetto – sia
esso estetico, pratico o morale – è momentaneamente sospeso
durante tutte le fasi di esplorazione e di confronto, lasciando così
libero spazio al piacere della meraviglia e all'entusiasmo della
scoperta; dove l'adulto non impone la sua presenza né le sue
direttive ma è sempre attento a cogliere ogni più piccola occasione
per sottolineare l'intelligenza di un gesto e favorirne così la
presa di coscienza, senza però mai voler colonizzare con il proprio
vissuto l'esperienza sempre individuale e singolare della costruzione
di un pensiero consapevole.
È
in questo modo, affrettandosi lentamente,
alla ricerca di domande più che di risposte, che va assaporata la
ricchezza del percorso
che ha portato a questa eccezionale e multiforme produzione di Bruno Munari. Solo così, affrettandosi
lentamente come faceva il
Maestro, si può cogliere appieno la raffinatezza del suo pensiero
creativo.
(Pubblicato in: Munari A. (2013): Festina lente: Affrettati lentamente (in giapponese). Prefazione al catalogo Bruno Munari, The Vangi Sculpture Garden Museum, Ed. Nohara Co.Ltd., 11-14.)